Il Belvedì (Villa Belvedere)

“Le case sono dei magazzini incredibilmente complessi … qualunque cosa succeda nel mondo, qualsiasi cosa venga creata, scoperta o aspramente contesa, in un modo o nell’altro finisce sempre a casa tua … Le case non sono rifugi dalla Storia, sono i luoghi in cui la Storia finisce.”

Bill Bryson, Breve storia della vita privata, 2017

La casa “Belvedere”, a volte chiamata Castello, altre volte Villa – o più confidenzialmente “ol Belvedì” -, palesa sin da lontano il suo carattere di luogo dal lungo passato, testimonianza di una storia gloriosa ma non ostentata, una presenza architettonica intimamente legata al paesaggio naturalistico e rurale circostante.

 

La villa è infatti incastonata sulle pendici del Monte Colletto, all’imbocco della strada che dalla frazione Büsa di Alzano, si avvia verso la frazione montana di Olera e di Monte di Nese. In posizione strategica, in sostanza, lungo uno dei più importanti tracciati viari delle epoche antiche, la via Mercatorum, che sino alla realizzazione della via Priula, alla fine del Cinquecento, costituiva l’unica via di accesso e di scambio commerciale con la valle Brembana.

 

Oggi la villa, ubicata al limitare tra i sinuosi terrazzamenti che assecondano la morbida orografia collinare (i “ronchi”, sino a pochi decenni fa coltivati a vite) e il fitto bosco che si estende a monte, emerge dal paesaggio per il suo aspetto unitario, per l’elegante gruppo di alberi che la circondano, e per il serpeggiare del viale d’accesso, costellato a tratti da maestosi cipressi.

 

Le origini del sito, oggetto di ricerche attualmente in corso di approfondimento, sono certo antiche, e forse legate a strutture di controllo del territorio. Con ogni probabilità è a cavallo tra i secoli XVII e XVIII che l’edificio assume un assetto più compiuto, per divenire residenza con annessa cappella gentilizia e pertinenze rurali. Nei primi anni dell’Ottocento il complesso Belvedere Alto – Belvedino è censito come “casa e corte masserizia e di villeggiatura”, di proprietà di Bortolo Moioli di Bergamo. All’epoca la forma dell’edificio era differente da quella attuale, più contenuta: oltre alla cappella vi erano vani di abitazione e vani di servizio alle attività rurali e per i “massari”. Annesso al complesso vi era il “prato con frutti”, mentre i terreni circostanti risultano “moronati”, ossia coltivati a gelsi e con alberi da frutto, ma anche vite e frumento, mentre il bosco forniva legna e castagne verdi.

 

La proprietà perviene per eredità a Defendente Piccinini, e per delibera d’asta viene infatti assegnata a Carlo Pesenti nel 1909, passando in seguito alla sua morte, nell’estate del 1911, al figlio Pier Antonio. Proprio in questa zona, in località “Cargadura”, lungo la via Olera, i Pesenti avevano impiantato le prime cave per l’estrazione dei calcari argillosi da cui ottenere i leganti idraulici e i cementi naturali, alla base del successo imprenditoriale della società di famiglia, la Ditta Cementi e Calci Idrauliche f.lli Pesenti fu Antonio, che in Alzano aveva impiantato il grande stabilimento, destinato a diventare nel 1980 uno dei primi monumenti di Archeologia Industriale studiati e tutelati in Italia.

“Mi è sempre stato gradito il salire lassù anche quando ero bambino e durante il liceo, epoca in cui iniziai le gite in campagna anche con un intendimento agricolo (1945), quella fu sempre la meta preferita”.

 

Così si esprime sul Belvedere il dottor Giusi Pesenti, figlio di Pier Antonio: colui che sul finire degli anni Cinquanta decide di intraprendere, in più fasi, una ristrutturazione complessiva della antica cascina, che grazie al progetto dell’Ing. Luigi Mondella viene complessivamente riconfigurata nell’ampia e bella “casa di campagna” che ancora oggi possiamo ammirare. La villa diviene il cuore della vasta proprietà, che si arricchisce di altri fabbricati pertinenziali ad uso agricolo ma anche “sportivo”: qui infatti il dott. Pesenti può coltivare, oltre agli interessi naturalistici e agrari, anche le sue passioni, tra cui il tiro istintivo venatorio con l’arco.

 

Il Belvedere Alto è un chiaro esempio di casa voluta e profondamente amata dal suo proprietario e committente, rispecchiandone il carattere anche negli aspetti di allestimento interno. La villa presenta un impianto a U asimmetrico, con ali laterali aggettanti dal fronte principale, rivolto verso valle, e si compone di tre piani fuori terra. Il piano terreno è destinato alle sale di ricevimento e di vita domestica (sala da pranzo, salotti, studio, sala musica), il piano primo alle camere private e alla ricca biblioteca, il secondo piano a vani privati e di servizio, oltre alle due splendide logge della Sala Caccia e della Sala del Biliardo. Il fronte verso valle è connotato dalle generose aperture, con il balcone centrale, le terrazze e le logge ad archetti nelle ali laterali. Il disegno è sobrio e misurato, unici elementi decorativi le cornici mistilinee delle finestre e i dipinti murali, di carattere araldico o quadranti solari.

 

All’interno si susseguono vani di ampiezza e carattere differente: emergono principalmente i camini, con decorazioni e iscrizioni alludenti alla vita campestre o domestica, e la bella scala per il piano nobile. L’ambiente che conserva i caratteri più antichi è la cappella, raccolta ma raffinata, con decorazioni a finte architetture e la volta a vela in copertura.

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